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La storia: diventare alpini ranger
Che un ragazzo a 19 anni decida, al termine degli studi superiori, di fare il militare professionista – per intendersi, quello inviato all’estero nelle missioni di pace o, peggio, di guerra -, per di più nel reggimento più “tosto” per antonomasia, ovvero quello degli alpini, stupisce. Se poi i ragazzi sono due gemelli, uniti nella nascita e nelle aspirazioni, la cosa è ancor più incredibile.
È questa la storia – meglio sarebbe dire, l’inizio della storia – di David e John Marsland, 22 anni di Piateda lanciati verso la carriera militare e con un sogno nel cassetto: quello di diventare ranger, cioè il paracadutista alpino, la “crème” potremmo dire delle forze operative.
Il cognome Marsland, che tradisce un’origine straniera, non deve ingannare, perché David e John sono figli di padre inglese e madre brianzola, ma son nati in Valle e hanno vissuto prima a Montagna e da qualche anno a Piateda. Fisico muscoloso (d’altra parte all’età di sei anni hanno iniziato a praticare rugby), faccia pulita, assolutamente non fidanzati («perché per quello che intendiamo fare – dicono -, è meglio non avere vincoli, a meno che non trovi la donna che sopporta forti stress e di non averci mai a casa»), i due ragazzi hanno frequentato la scuola per Geometri a Sondrio, poi hanno lavorato un anno nel settore alberghiero in attesa di partire per il VSP1, il Reparto addestrativo volontari. «Ce ne sono tre in Italia (Capua, Chieti e Verona), noi siamo stati a Chieti – spiegano da Piateda, dove sono stati in licenza per una settimana -. E’ una sorta di “naia”, dove per due mesi si impara a marciare, a riferirsi ai superiori, si apprende il regolamento di disciplina militare, topografia, l’uso dell’arma in dotazione, qualche nozione di nucleare biologico e chimico. Poi viene data un’assegnazione in base alla necessità. Avendo richiesto di entrare nelle truppe alpine, siamo stati inviati in Piemonte al secondo reggimento alpini in stanza a Cuneo, dove ci troviamo tuttora. Questa prima fase di VSP1 è terminata e abbiamo fatto il concorso per proseguire con il VSP4, ovvero altri quattro anni formativi». E, se si chiede loro perché proprio la scelta del reggimento alpini, la risposta è chiara: «Perché – raccontano David e John, etichettati a Cuneo “i gemelli”, visto che da anni nel reparto non vi erano due fratelli gemelli -, se miri ad un certo impiego all’estero in missione, devi andare nei reparti alpini dove le attività sono più fisiche, volte all’aspetto operativo, ad esempio con i campi marcianti ovvero dieci giorni su e giù per le montagne con zaini affardellati di 15 chili e pernottamento in quota con le tende. Tutti i giorni flessioni, corse, anche con il clima rigido, non si sta mai in apatia. Ci si tempra. Insomma è quello che volevamo fare». Il VFP4 durerà fino al 2015 e, se nel primo anno di VFP1 c’è anche chi viene incaricato di pulire le foglie dai canaloni o il ghiaccio all’ingresso della carraia, per David e John fra qualche mese ci sarà un impegno non da poco: la loro prima missione, sei mesi in Afghanistan con partenza il 15 agosto. «Nel frattempo ci stiamo preparando con un addestramento serio, movimenti in centri abitati, reazioni automatiche immediate – proseguono -. Intendiamo dire che si simula il movimento di pattuglia o sui mezzi, il contatto a fuoco con un nemico che ti ha fatto un’imboscata o che ti attacca, movimenti per ripiegare o attaccare». Parlano in maniera lucida e fredda i due gemelli, senza far trapelare timori. «Andare in Afghanistan è la naturale conseguenza per chi si arruola con l’intenzione di stare nell’esercito, di fare questo lavoro – spiegano -. Ci hanno riferito che è un posto sgradevole e inospitale, ma non saremo là per fare una gita». Si può immaginare il “cuore di mamma” in apprensione per la partenza non di uno, ma di due figli, ma chi conosce la madre dice è decisa e determinata come loro. «Ora siamo dei precari, per avere il posto fisso di militare, essere i cosiddetti “militari professionisti”, si deve entrare nel servizio permanente e, per questo, servono punteggi che si accumulano con corsi, patenti, elogi. Nel nostro caso siamo bilingui, ad esempio, e vorremmo farlo riconoscere dalla Scuola di lingua estera di Perugia». E poi c’è il sogno nel cassetto: diventare ranger, paracadutista alpino (simile alla Brigata paracadutisti Folgore, ma con le discipline alpine in aggiunta). «Avremmo un’opzione in più per l’inserimento in una zona operativa. E poi ci sarebbe il vanto di entrare nella categoria dei reparti speciali. In Italia sono circa 100 i ranger. Abbiamo fatto richiesta e inizieremo a breve le selezioni fisiche». Dunque testa bassa e via ad addominali, corse e chi ne ha più ne metta. La partecipazione ai Casta qualche giorno fa (i Campionati sciistici delle truppe alpine) a Brunico sono stati terreno di allenamento fra prove di scialpinismo, discesa, soccorso valanga, lancio di bombe a mano, poligono e staffetta di fondo.
Tornando a bomba – è il caso di dirlo - cosa spinge un ragazzo a scegliere questa strada? «Ho studiato per diventare geometra – dice John -, quando ho visto quale sarebbe stato l’impiego tecnico e il lavoro da ufficio, ho pensato che non faceva per me che preferisco camminare ore e ore sotto la pioggia in montagna».
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