Sciatt à porter: laboratorio di cose buone
Il momento certamente più “popolare” ma esemplificativo di un lavoro che Punto.Ponte sta cercando di attuare è stato la consegna alla gente del paese di alcuni semi di piante da orto domenica grazie alla collaborazione con il Comune.
La Fondazione svizzera Pro Specie Rara con Raetia Biodiversità Alpine ha messo a disposizione delle persone alcune buste contenenti semi del cavolo cappuccio, del cavolo verza, della costa gialla o rossa, dello spinacio selvatico alto rosso o verde per fare degli esempi. Al teatro comunale, invece, si è tenuto il secondo seminario che, oltre al tema della qualità e del biologico, ha sviluppato la rete del valore, ovvero quelle funzioni a valle del processo produttivo e che vanno dalla comunicazione alla logistica, dal packaging al format per la ristorazione. Competenze aggiuntive che hanno come obiettivo l’ulteriore valorizzazione del prodotto. Esemplare, in tal senso, l’esperienza portata da Emma Marveggio che ha ideato “Sciatt à porter” a Milano (e Risc-food vorrebbe inserirsi nel canale del catering), da lei definito «un laboratorio di cose buone, in cui c’è cibo autoctono, fatto dai nostri contadini – ha spiegato -. Sono i contadini che cucinano bene, con semplicità dei nostri prodotti: casera, grano saraceno e burro. Questa identificazione piace alla città. Il giornale “Libero” cita gli sciatt come il vero street food lombardo». Quindi l’invito di Marveggio a «credere nella Valtellina, perché fuori c’è un mondo che ricerca questo e non vuole più orpelli».
La tradizione può andare a braccetto con l’innovazione, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione. Guido Pellizzatti Perego, esperto di strategie digitali e social media, ha suggerito di sfruttare a pieno il social network Facebook che parla per semplificazione, «ma è così trasversale e immediato da riuscire a trasmettere di pancia suggestioni forti».
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