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Il gran teatro montano in mostra
Bisogna prepararsi prima di entrare nella sala che il Museo valtellinese di storia e arte di Sondrio dedica a “Il gran teatro montano”, nome preso dal libro con il quale cinquant'anni fa, Giovanni Testori aveva svelato all'attenzione di un pubblico vasto la grandezza di Gaudenzio Ferrari e il fascino del Sacro Monte di Varallo. Occorre non tanto documentarsi – anche perché le spiegazioni e la guida alla lettura fornite sui cartelloni in sala sono efficaci e dettagliate -, quanto prepararsi “emotivamente” ad una scena forte, d'impatto che, in molti giovani (in base ad uno studio condotto) ha provocato una certa ritrosia e uno sguardo di ribrezzo. La scena – enfatica - è quella di Cristo trascinato con una corda da un manigoldo. Da una parte Cristo, realizzato da Ferrari entro il 1514, che ha lo sguardo di chi ha accettato serenamente la propria sorte. Lo sguardo non è di chi sfida, ma rivolto accennatamente verso in basso. Il volto e il corpo sono profondamente segnati dal sangue dopo le flagellazioni. «Solo lui (Gaudenzio Ferrari, nda) sa rappresentare Cristo con questa tenerezza – scriveva il critico Testori -, e insieme con questa freschezza, così che, mentre lo guardi, ti sembra di sentirlo respirare..». Dall'altra parte c'è il manigoldo con una evidente declinazione di muscoli e un viso che, dopo il restauro, ha restituito una scultura diversa da quella nota, di qualità altissima ma anche di una ferocia che non si accorda con la mano di Gaudenzio. «La chiave di lettura con cui guardare queste sculture e quelle del Sacro Monte è l'intensa drammaticità dei momenti raccontati – ha spiegato Elena De Filippis, direttrice dell'Ente di gestione dei Sacri Monti piemontesi -. Le statue ci raccontano emozioni. In scena, in questo teatro, ci sono il popolo della valle, persone reali, vere, anche deformi. Relativamente al Cristo e al manigoldo abbiamo sempre pensato che le statue fossero nate insieme, invece il restauro ha messo l'accento sul fatto che questo manigoldo abbia una caratterizzazione del viso molto spietata. La definizione delle pieghe del volto, dell'occhiaia sotto l'occhio, del mento è molto attenta, le sfumature del viso sono diventate più crude, rispetto alla “morbidezza” di prima. Mentre non ci sono dubbi che il Cristo sia di Gaudenzio perchè vicino alle sue opere, sul manigoldo il problema è aperto». Ne stanno discutendo studiosi del calibro di Giovanni Agosti, docente dell'Università degli Studi di Milano, o Gianni Romano, professore emerito dell'Università degli Studi di Torino. Quest'ultimo ha ipotizzato che la gran smorfia del viso del manigoldo risalga vistosamente a Leonardo e ai suoi imitatori che “strafacevano” in moti dell'animo. «E' certo – sostiene Romano – che il manigoldo non è di Guadenzio, mai seriamente malato di basso leonardismo». Ma allora chi ha realizzato il manigoldo con un'anatomia così brutale e quando? E poi questa differenza marcata fra buono e cattivo è sempre stata evidente, tenendo conto che la cappella al Sacro Monte è al buio? Domande aperte dal restauro condotto dalla Bottega Gritti. «Le sculture erano collocate sì in una cappella, ma senza vetri alle finestre, in un posto dove fa freddo, ci sono giornate umide e ventose – ha fatto presente il restauratore Luciano Gritti -. Il legno, di cui sono fatte le sculture, è materiale che reagisce ai cambi di umidità. Il fatto che le due sculture si siano conservate bene è sintomo di scelta attenta ai materiali e alla policromia. Noi abbiamo tolto la ridipintura e quello che si vede oggi è il colore originale, conservato quasi perfettamente. La tecnica è validissima, lo si capisce anche dai particolare come i sandali del manigoldo di legno intagliato e dipinto. Particolari fantastici per qualità e conservazione. Il viso del Cristo non è mai stato dipinto, è rimasto per 500 anni all'aperto, per cui chi ha steso la policromia aveva una tecnica fantastica».
I visitatori della provincia di Sondrio avranno l'onore di poter conoscere da vicino le due sculture, girargli intorno, osservarle con attenzione grazie al Credito Valtellinese e al neopresidente, Miro Fiordi, che ha parlato di «evento eccezionale», tenuto conto che le sculture sono state prima esposte al Castello Sforzesco di Milano e a Casa Testori. Presente all'inaugurazione Giuseppe Frangi dell'associazione culturale Casa Testori, che ha rimarcato il fatto che, per la prima volta, le statue “escono” dal Sacro Monte di Varallo, luogo per eccellenza di «arte democratica», in quanto fruibile sempre, 24 ore su 24. Infine va ricordato che al MVSA sono esposte, in sale attigue, due Madonne: la Madonna dolente, attribuita a Giovanni Angelo Del Maino, dopo l’intervento conservativo condotto all’Istituto Centrale del Restauro di Roma, grazie alla disponibilità della parrocchia di Morbegno, cui appartiene; e il simulacro della cappella della Pentecoste, costruita lungo quel tratto della via Valeriana che da Sondrio conduce al santuario della Beata Vergine della Sassella. La mostra sarà aperta fino al 6 giugno da martedì a venerdì dalle 9 alle 12, dalle 15 alle 18, sabato e domenica dalle 15 alle 18 (lunedì chiuso).
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