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Vecchio 20-04-06, 10:25   #1
Luisa
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25 aprile all’Aprica
nella testimonianza di chi c’era

Oramai siamo in pochi a raccontare dello storico 25 aprile nei nostri paesi e allora, visto che io c’ero, cedo ancora alla tentazione di riversare sulla carta, di testimoniare particolari di quei giorni. Al paese mi trovavo rientrata dal lavoro, da Tirano, proprio in vista di quanto poteva succedere in quei giorni, che facevano presagire tragici avvenimenti, per cui era meglio ritornare nelle proprie case.
E veramente quei giorni si presentavano pieni di imprevisti, ma in queste eccitanti voci che giravano, non attraverso la televisione e nemmeno con la radio c’era solo in pochissime case, ma con il primordiale mezzo del – passaparola- finalmente, a un certo punto, si sentì echeggiare una frase – la guerra è finita – voce che arrivava come l’improvviso dischiudersi di una meravigliosa alba dopo anni di cielo oscuro. In quel comune giubilo, i seguito a tale esplosiva notizia, nella contrada che abitavo, era arrivata un’altra conseguente voce, tipo comando: “bisogna suonare le campane a festa”. Visto che la nostra parrocchia (quella di St. Maria) non aveva il parroco in quel periodo e tenuto conto che la chiesa era affidata al sagrista, mansione esercitata dalla mia famiglia, fui io a raccogliere quella voce. Chiesto aiuto a due passanti, tenuto conto che le campane erano tre e andavano ancora tirate con la corda, stavo entrando in chiesa quando il mio fratello maggiore, che, da reduce, pur non essendo un partigiano, in qui giorni, partecipava attivamente nell’opera di liberazione, mi trattenne dicendomi testualmente: “No, non suonare le campane, per noi la guerra non è finita” e io ubbidii.
Sempre attraverso il passaparola si seppe che veramente all’Aprica eravamo in grande pericolo e quindi non era ancora il momento da gioire. Infatti, alle porte del paese, dalla Valcamonica c’era un armata di tedeschi, che chiedeva il passaggio all’Aprica per raggiungere Tirano, e varcare il confine diretti in Svizzera. Certo non erano solo voci. In paese avevamo “Caramba” uno che aveva un posto di preminenza fra i partigiani d’istanza sul Mortirolo e quindi l’informazione era diretta. La notizia mise in grande all’arme il paese. Cosa ci voleva a distruggerci se i tedeschi non avessero ottenuto il permesso e comunque cosa ci si poteva aspettare nel loro passaggio, visto che ormai avevano perso la guerra e correva pur voce che ci fosse un progetto di difesa in Valtellina?
Cosa abbiano fatto i miei compaesani in quella sera, non lo so, personalmente posso dire, senza orgoglio, che ho scelto di abbandonare la casa e raggiungere una baita in zona <ciuderi>, nemmeno mia, per passare la notte in compagnia delle mucche. Naturalmente non ho fatto sonni tranquilli e ripensandoci, forse ero esposta al pericolo maggiormente che se fossi rimasta a casa con i miei, e poi cosa avrei fatto se mi distruggevano la famiglia?
A riguardo dei tedeschi, si seppe subito nei giorni che seguirono, ma personalmente, in seguito lo appresi direttamente dalla bocca di “Caramba” uno dei protagonisti. Infatti il giorno appresso a quella richiesta da parte dei tedeschi (poteva essere il 25 aprile, ma anche il 24, o il 23) c’era l’appuntamento fra le due parti, tedeschi e partigiani. “Caramba” con un gruppo di partigiani aspettava ritto in piedi, con il cappello d’alpino in testa, sul parapetto della statale, alle porte dell’Aprica in zona <camisciù> . All’ora stabilita arrivò la delegazione tedesca, che si arrestò a una certa distanza dalla fazione partigiana. A quel punto, visto quel individuo in piedi sul parapetto con il semplice cappello d’alpino in testa, il comandante mandò a dire che avrebbe trattato solo con un delegato graduato. A quel punto “Caramba” si tolse il cappello, sotto il quale aveva nascosto i documenti che lo abilitavano a trattare, e li mostrò al comandante tedesco e le trattative iniziarono. Quanto durarono e se ci fosse un secondo o un terzo incontro non sono in grado di dirlo, ma sta di fatto che ne dall’Aprica, ne dalle montagne che ci separano dal confine svizzero, quei tedeschi non transitarono, ma, con grande sollievo della popolazione, fecero dietrofront e cercarono un&#39;altra via, forse attraverso il Brennero. Si seppe poi che comunque non ebbero fortuna ma furono attaccati e con tante perdite. (ricordo che, nonostante le circostanze, personalmente ho provato un sentimento di dolore anche per loro; oramai l guerra era finita e dall’altra parte c’erano famiglie che attendevano, come tutti gli uomini di questo mondo, siano essi vincitori o perdenti.
Se abbiamo poi suonato o no, le campane (sempre nella nostra chiesa di St. Maria in quanto all’Aprica sono due le parrocchie), non lo so, ma la gioia della pace ritrovata animò la gente e l’esplosione comune si ebbe dopo qualche giorno quando venne organizzato, la festa della liberazione. In quella occasione la popolazione fu radunata sui prati adiacenti alla alle ville Negri (allora ancora sgombri di costruzioni) . Il regista, ricordo, essere il – Carletu – (Della Moretta Carlo) forse Sindaco in quel periodo? E naturalmente con la presenza dei nostri partigiani. In quella occasione non si suonarono le campane, ma a dar voce all’entusiasmo della gente furono dei cannoni piantati per l’occasione. Cannoni i cui colpi furono di una tale esplosione che non solo arrischiò di rompere i timpani alla gente, ma tali da rompere i vetri delle finestre della – Croce rossa – , la casa delle Madri Canossiane (oggi Residence Stella Alpina) .e da quel momento la vita ricominciò, all’Aprica, come in tutta Italia, nella pace che è uno dei maggior beni dell’umanità e quindi da coltivare e da difendere a ogni costo.
Luisa Moraschinelli
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