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Vecchio 30-07-09, 16:11   #1
Abriga.it
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Predefinito Affondi

Giovedì 6 agosto, nel giardino di fronte all’hotel Urri, si conclude “Di fuoco e acqua”, la minirassegna sugli elementi promossa da abriga.it. Dopo le poesie sul tema del fuoco interpretate con l’accompagnamento dell’arpa nella contrada S. Maria, ora tocca all’acqua.
La serata sarà impostata in modo diverso questa volta. Ci sarà la poesia, ci sarà la musica (percussioni), ma ci sarà anche la danza ad accompagnare, completare o astrarre il percorso sull’acqua.
Le poesie proposte sono tratte dalla “Opera sull’acqua” di Erri De Luca. Si tratta di testi forse non semplici, ma carichi di significato.
Abbiamo pensato di proporne qualcuno alla vostra lettura sul forum, giorno per giorno, per familiarizzare con il contenuto del componimento, sicuri che questo possa essere considerato un avvicinamento interessante e stimolante alla serata.


Affondi

“E scavarono il mare con i remi”.
tanta è la forzafuria dei marinai che cercano una breccia
nella muraglia avversa. Il mare scaglia colpi
ai fianchi della barca, cozza di prua e dà di corno a poppa.
Torto dei marinai è il passeggero a bordo,
Giona/Ionà il ribelle. Alla voce –martello
che gli ordina: “Vai a Ninive”, tace, s’impunta,
scende a un imbarco e paga il viaggio
per l’orizzonte opposto, l’occidente.
Da qui il lancio del vento, una frusta sull’acqua
che s’impenna, scalcia all’aria legno e marinai.
“Sollevatemi e lanciatemi al mare”, Giona /Ionà conosce
il sacrificio di pareggio per ammansire il vento e chi
l’impugna.
Ma prima della resa i marinai si buttano a scavare il
mare con i remi
per una via di scampo, una salvezza anche per lui, il
ribelle.
Niente: cedono e danno a Dio il suo prigioniero.
Giona / Ionà è atteso fuoribordo dalla gola di un pesce
sconosciuto
il cui spazio di viscere è un budello placenta.
Ha di nuovo da nascere il ribelle a Dio,
nascere stavolta con la parola già infilata in bocca.
Tre giorni e tre notti oscilla dentro il dondolo
mentre il pesce digiuna, per non guastare il buio del
prigioniero
con le scaglie lucenti delle prede. Però né lui né i marinai:
altri dei miei annegarono,
venuti al mondo con l’eredità dell’asfissia.
Massimo, Eliana, ragazzi del Tirreno, corpi affondati,
offerti
a dare luce alle meduse, nei loro bacini si rintanò la
sogliola,
alle ossa dei piedi s’allegò la madrepora che fiorisce in
coralli,
dalla loro bocca l’ostrica succhiava sonno e avorio,
nel petto lo scorfano rosso baciava la piovra di sabbia,
nel cranio il cavalluccio marino ebbe la chiesa,
la navata nelle ossa parietali, nelle orbite i rosoni,
e le orate rubarono i capelli, e dove c’era il sesso
il gas d’una sorgente d’aria calda soffiava bolle al cielo.
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